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Il ricatto è chiaro: se vuoi continuare a lavorare devi rinunciare a buona parte dei diritti conquistati in 110 anni, appena compiuti, di lotta. La “rivoluzione globalizzata” di Marchionne è arrivata negli stabilimenti italiani della Fiat come una mannaia. All’inizio parevano tutti d’accordo. Un solo sindacato si è opposto: la Fiom. Ma la denuncia del ricatto da parte dei metallurgici della Cgil da voce “isolata e retrograda” è diventata un coro che ha attraversato l’Italia, spaccandola in due, dalle urne di Pomigliano e Mirafiori ai grandi dibattiti su giornali e televisioni. A guidare questa lotta c’è il quasi 50enne Maurizio Landini, l’alter ego di Marchionne:guadagna 2300 euro al mese, pari ad un centesimo del manager Fiat e non ha un briciolo dei suoi 150 milioni in stock options. Al posto dei maglioncini di cachemire indossa magliette della salute, a 16 anni ha dovuto lasciare la scuola per la fabbrica: 9 anni da saldatore nella provincia reggiana, terra di cocciuti e di grandi sindacalisti nell’Emilia rossa dei “comunisti pragmatici”. Storia dell’uomo che il 16 ottobre 2010 ha portato a piazza San Giovanni un milione di persone, non solo operai, per difendere il contratto nazionale e diritti di chi lavora. L’uomo che sta mettendo in difficoltà il “più grande manager della storia della Fiat e dell’Italia”. Finito suo malgrado sotto i riflettori, Landini ora è convinto di batterlo. Per ridare speranza e dignità ai lavoratori e alla sinistra in Italia. Partendo da un concetto molto semplice: “Mettersi nei panni degli operai, per vedere il mondo dalla parte dei più deboli e costruire una società più giusta”. Alleandosi con gli studenti e sfatando il mito che vuole il suo sindacato come “quello che dice sempre no”.